Onorevoli Deputati! - L'articolo 1 del presente disegno di legge conferisce al Governo una delega legislativa in materia di protezione sociale e di cura delle persone non autosufficienti.
      Alla crescente presenza di persone non autosufficienti tra la popolazione italiana non corrisponde un'adeguata risposta da parte delle politiche pubbliche. È opinione comune - e la recente letteratura in

 

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materia lo conferma - che in questo campo esista un profondo divario tra la gamma dei bisogni e la dimensione dello sforzo pubblico. Su queste basi poggia la convinzione che la costruzione di un sistema completo di protezione sociale e di cura in favore delle persone non autosufficienti sia una delle riforme più urgenti di cui necessiti il complessivo sistema di welfare del nostro Paese. Osservando i molti Paesi europei che, negli ultimi anni, hanno predisposto riforme in tale settore e l'Unione europea che, dal suo canto, pone questa tra le priorità di intervento future, si coglie ancora di più il preoccupante ritardo del nostro Paese, atteso anche l'invecchiamento demografico della popolazione.
      Peraltro, gli interventi esistenti mostrano troppo spesso un'eccessiva eterogeneità a livello territoriale, chiamando in causa il ruolo dello Stato che dovrebbe definire regole chiare e princìpi di base cui ancorare i diritti delle persone non autosufficienti.
      Alla luce di situazioni tanto differenziate e tenuto conto dell'attuale assetto costituzionale, è evidente che il percorso per assicurare ai cittadini, indipendentemente dal territorio in cui si trovano a vivere, livelli delle prestazioni in grado di soddisfare la più ampia gamma di esigenze e bisogni sociali passa attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      La presente delega al Governo si muove lungo le direttrici seguite dalle recenti esperienze comunitarie e internazionali da un lato e da quelle nazionali a livello regionale dall'altro, che hanno cercato di dare risposte al fenomeno della non autosufficienza che rischia di espandersi con il progressivo aumento della popolazione anziana.
      La materia dei livelli essenziali delle prestazioni, con riferimento alle persone non autosufficienti, è fino ad oggi disciplinata solo in ambito sanitario, con la definizione dei livelli essenziali di assistenza per la componente sanitaria delle prestazioni socio-sanitarie. Restano, invece, da definire i livelli essenziali per le prestazioni sociali, che in questo ambito sono tutte di rilevanza sanitaria.
      L'approccio seguìto dalla proposta di delegazione legislativa è quello della piena integrazione, in maniera che congiuntamente siano rivisti i livelli essenziali per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e definiti quelli per le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, definendo standard quantitativi e qualitativi per le stesse e rideterminando - in base ai diversi livelli di gravità della condizione di non autosufficienza e all'intensità del contenuto sanitario delle prestazioni - anche i costi a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli relativi alla componente sociale delle prestazioni, questi ultimi a carico del comune ed eventualmente dell'assistito mediante il meccanismo della compartecipazione.
      Passando ad esaminare in dettaglio l'articolo 1 recante la delega al Governo, si rileva che il comma 1 illustra le finalità e l'oggetto della delega, prevedendo la definizione di un sistema di protezione sociale e cura per le persone non autosufficienti nell'ottica della piena integrazione socio-sanitaria e attraverso l'adozione di interventi personalizzati che possano consentire alla persona non autosufficiente, ove possibile, di rimanere presso il suo domicilio. Le finalità della legge sono ricondotte ai princìpi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e della legge 8 novembre 2000, n. 328.
      Il comma 2 detta i princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega conferita al Governo.
      Il primo principio della delega [lettera a)] mira a definire i criteri e le modalità attraverso cui accertare e valutare la condizione di non autosufficienza. In attuazione di tale principio, si intende giungere a una definizione uniforme sul territorio nazionale, considerato che in assenza dei livelli essenziali si sono venute sviluppando esperienze diverse in ambito regionale.
      La definizione della condizione di non autosufficienza [numero 1)] andrà riferita alla perdita permanente di abilità, qualunque
 

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ne sia l'origine, tale da incidere sulla capacità di compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l'aiuto rilevante di altre persone.
      Una volta accertata la condizione di non autosufficienza, la stessa andrà articolata [numero 2)] in diversi livelli di gravità, collegando ad essi l'intensità e la durata delle prestazioni di aiuto personale, di tutela e di cura necessarie a compensare la mancanza di autonomia e a promuovere e sostenere la piena espressione della capacità della persona non autosufficiente.
      Al fine di una maggiore omogeneità ed efficacia delle procedure di accertamento, si prevede [numero 3)] di adottare un approccio multidisciplinare di valutazione, richiedendo la classificazione della condizione di non autosufficienza in livelli secondo la gravità accertata e ispirandosi ai princìpi generali - che intervengono sulle diverse dimensioni bio-psico-sociali - della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF), adottata dall'Organizzazione mondiale della sanità.
      Il secondo principio direttivo [lettera b)] attiene alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      I criteri rivolti alla realizzazione di tale principio sono molteplici. In primo luogo [numero 1)] si prevede di istituire punti unici di accesso che dovranno garantire - mediante l'accoglienza, l'informazione e l'indirizzo - il diritto alla facilità di accesso al complesso delle prestazioni disponibili per la persona non autosufficiente, qualunque sia l'organizzazione amministrativa che le fornisce.
      In secondo luogo [numero 2)] andranno definite le modalità di presa in carico della persona non autosufficiente, attraverso un piano personalizzato di assistenza, che definisca in maniera partecipata con l'assistito e i suoi familiari, nonché con i soggetti del Terzo settore coinvolti nell'attuazione del piano, le prestazioni sociali, sanitarie e socio-sanitarie necessarie per la presa in carico dei bisogni accertati.
      Sono garantiti dal piano i percorsi previsti dalla legge 8 novembre 2000, n. 328, con riferimento alle persone con disabilità e agli anziani non autosufficienti [numero 3)].
      Inoltre, si prevede [numero 4)] di determinare, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa ricognizione delle risorse destinate a tali fini dalle regioni, dagli enti locali e dal Servizio sanitario nazionale in via aggiuntiva rispetto alle risorse del Fondo per le non autosufficienze, con il concerto di tutte le amministrazioni coinvolte a livello nazionale, regionale e locale, sentiti le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e dei pensionati e il Forum del Terzo settore, le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti, al fine di favorirne l'autonomia e la permanenza al domicilio, nonché le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale articolate in base all'intensità, alla complessità e alla durata dell'assistenza. Con il medesimo provvedimento saranno determinati, per ciascuna prestazione, i costi posti a carico del Servizio sanitario nazionale e quelli posti a carico del comune con la partecipazione dell'assistito. Restano escluse da tale determinazione le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, che rimangono interamente a carico del Servizio sanitario nazionale.
      Al numero 5) si prevede di definire standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale in relazione alle specifiche caratteristiche dell'assistenza richiesta dalla persona non autosufficiente, tenuto anche conto della composizione del nucleo familiare, e degli standard quantitativi dell'offerta di servizi in ambito territoriale.
      Tali standard andranno integrati e recepiti [numero 6)] sia nei criteri di autorizzazione e di accreditamento dei servizi e delle strutture di assistenza e cura sia
 

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nella definizione dei profili professionali delle professioni sociali.
      L'ultimo numero della lettera b) [numero 7)] prevede la compensazione tra regioni e autonomie locali relativamente ai costi sostenuti per l'assistenza semiresidenziale e residenziale nell'ipotesi di mobilità interregionale.
      Il terzo principio direttivo [lettera c)] riguarda la definizione delle modalità di attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e dei criteri di riparto del citato Fondo per le non autosufficienze di cui al comma 1264 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
      In attuazione di tale principio si prevede [numero 1)] l'adozione di un piano biennale 2008-2009 per la protezione sociale delle persone non autosufficienti, che definisca il graduale raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire su tutto il territorio nazionale nel limite delle risorse complessivamente ed effettivamente disponibili, come identificate a seguito della ricognizione del quadro finanziario, prevista dal numero 4) della lettera c). Limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali si individuano [numero 2)] criteri di priorità per l'accesso alle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria come definite nel piano personalizzato, anche in considerazione della gravità della condizione di non autosufficienza e delle condizioni economiche dell'assistito.
      Sempre limitatamente alla fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali, potranno compartecipare al costo della componente sociale delle prestazioni, nei soli casi di prestazioni residenziali per persone in condizione di non autosufficienza non particolarmente grave, oltre all'assistito, anche il coniuge e i parenti in linea retta di primo grado, entro limiti definiti rispetto al loro reddito, ai loro carichi familiari e alla quota di compartecipazione richiesta [numero 3)].
      Relativamente al Fondo per le non autosufficienze, lo stesso andrà ripartito [numero 4)] d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sulla base della distribuzione regionale delle persone non autosufficienti e di indicatori demografici e socio-economici territoriali. Nella fase di graduale raggiungimento dei livelli essenziali saranno individuate [numero 5)] quote destinate a garantire un'offerta di servizi uniforme su tutto il territorio nazionale, tenuto conto delle diverse situazioni regionali, e quote destinate al raggiungimento di obiettivi specifici da parte di ciascuna regione e provincia autonoma nell'ambito dei livelli essenziali di cui alla lettera b). Il piano biennale, inoltre, sarà coerente [numero 6)] con misure volte a favorire l'assunzione di addetti all'assistenza personale o familiare da parte dei soggetti non autosufficienti o dei loro familiari, stabilite nell'ambito delle politiche coordinate dalla cabina di regia nazionale di cui all'articolo 1, comma 1156, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni.
      A questo proposito le risorse del citato Fondo si intendono aggiuntive [numero 7)] rispetto a quelle già destinate in ambito regionale e locale agli interventi oggetto del provvedimento di delega. Il numero 8) richiama la possibilità di forme di accompagnamento, supporto e partenariato delle diverse realtà territoriali che consentano di raggiungere una maggiore uniformità quantitativa e qualitativa nelle prestazioni erogate in favore delle persone non autosufficienti.
      Al numero 9) si prevede che le risorse del Fondo per le non autosufficienze, le quali non siano state utilizzate, vengano recuperate in base alle risultanze del monitoraggio effettuato ai sensi della lettera e). Il quarto principio direttivo [lettera d)] conferma l'impiego dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) come strumento per determinare la partecipazione degli assistiti al costo delle prestazioni per la componente sociale. A questo proposito, va rilevato che la materia è attualmente disciplinata in modo incompiuto, poiché il legislatore delegato, nel definire le norme sull'ISEE con riferimento alla non autosufficienza, rinviò ad
 

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una successiva disciplina regolamentare che non è stata ancora emanata.
      In attuazione del principio richiamato alla lettera d), si intende rivedere l'indicatore nelle componenti di calcolo e nella composizione del nucleo familiare [numero 2)] facendo valere le sole condizioni economiche dell'assistito, al fine della compartecipazione alla componente sociale del costo della prestazione, fatto salvo quanto diversamente stabilito nel periodo di graduale raggiungimento dei livelli essenziali.
      Sono previste [numero 3)] soglie nazionali di ISEE al di sotto delle quali non può essere richiesta una compartecipazione o, per una soglia più alta, non può essere richiesto di partecipare per l'intero costo della prestazione.
      All'assistito potrebbero aggiungersi, ai fini della compartecipazione, le persone beneficiarie di donazione da parte della persona non autosufficiente nei cinque anni antecedenti l'accertamento della condizione di non autosufficienza [numero 4)]. Al tempo stesso, la disciplina è completata con la revisione delle disposizioni relative all'azione di rivalsa nei confronti delle persone tenute agli alimenti, in coerenza con i criteri direttivi di identificazione delle persone tenute a partecipare al costo della componente sociale delle prestazioni.
      Il quinto principio direttivo [lettera e)] prevede la definizione di un sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi sociali e socio-sanitari.
      In particolare [numero 1)] si prevede, con riferimento agli interventi contenuti nel piano biennale, la predisposizione di un sistema informativo che sia in grado di rilevare gli interventi di protezione sociale e di cura per le persone non autosufficienti, le persone prese in carico, l'offerta e il costo dei servizi; il trattamento dei dati è assicurato nel rispetto delle disposizioni del codice per la protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e delle regole tecniche e di sicurezza del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
      Tale sistema dovrà integrarsi [numeri 2) e 3)] con il sistema informativo dei servizi sociali, con il nuovo sistema informativo sanitario e con il sistema informativo dell'ISEE. Al termine del biennio è prevista una relazione annuale, con la quale saranno illustrati al Parlamento i dati raccolti attraverso il processo di monitoraggio e valutazione [numero 4)].
      Si prevede, infine [numero 6)], che siano introdotte modalità di valutazione dell'attuazione degli interventi e dei risultati ai diversi livelli territoriali, in forma partecipata dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e dalle associazioni di tutela dei cittadini non autosufficienti.
      I commi 3 e 4 dell'articolo 1 prevedono, rispettivamente, l'iter procedurale da osservare per l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, con il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e delle competenti Commissioni parlamentari, nonché sentiti le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e dei pensionati e il Forum del Terzo settore, e la possibilità di adottare disposizioni correttive e integrative dei medesimi decreti legislativi entro ventiquattro mesi dalla data della loro entrata in vigore.
      L'articolo 2 reca una delega legislativa al Governo, diretta ad adeguare, attraverso l'opportuno coordinamento, il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
      In particolare, si provvederà:

          a) al riordino della disciplina dei congedi per i cosiddetti «lavoratori atipici»;

          b) alla piena attuazione dei princìpi costituzionali di eguaglianza tra uomini e donne nella materia dei congedi parentali;

          c) all'introduzione di meccanismi di flessibilità nella fruizione dei congedi parentali, anche con riferimento ai soggetti che ne possono usufruire e alle motivazioni familiari che ne possono giustificare la fruizione;

 

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          d) ad una più incisiva disciplina a tutela delle lavoratrici madri per quanto attiene alle modalità di articolazione della prestazione lavorativa e alla possibilità di carriera con particolare riferimento al rapporto di lavoro a tempo parziale.

      La necessità del riordino è suggerita dall'evoluzione del quadro normativo d'insieme (si pensi al decreto legislativo n. 276 del 2003) e dagli interventi della giurisprudenza costituzionale (si pensi alla sentenza della Corte costituzionale n. 385 del 2005).
      Con l'articolo 3 viene sostituito l'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, come già sostituito dall'articolo 1, comma 1254, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. La nuova formulazione si rende necessaria al fine di aggiornare lo strumento in modo da renderlo corrispondente alle esigenze dell'utenza.
      La nuova rubrica - in luogo di «Misure a sostegno della flessibilità di orario» - sottolinea il diverso punto di vista sotteso al recente spostamento delle competenze dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale al Dipartimento per le politiche della famiglia.
      Per quanto riguarda i soggetti finanziabili di cui al comma 1, si intende estenderne il novero, includendovi, oltre alle aziende, anche altri datori di lavoro privati; rientrano fra i soggetti finanziabili, per determinate azioni, anche i titolari di impresa o i lavoratori autonomi o i liberi professionisti (prima contemplati nella lettera c) del comma 1, e ora considerati in un comma a parte - comma 3).
      Per quanto riguarda i soggetti destinatari delle azioni positive, si provvede alla loro individuazione in un comma apposito (comma 2) - e non più dopo ciascuno dei tipi di azioni finanziabili contemplati - rendendo uniformi le condizioni di accesso alle misure previste nelle diverse lettere del comma 1.
      Per quanto riguarda le azioni finanziabili (comma 1 del testo vigente), esse sono riformulate secondo quanto segue:

          1) comma 1:

              lettera a): le azioni rimangono sostanzialmente invariate, con la sola introduzione di un particolare interesse nei confronti dei progetti che introducano sistemi innovativi per la valutazione della produttività, con la finalità di promuovere meccanismi che evitino la marginalizzazione dei soggetti i quali, per esigenze di conciliazione, utilizzino misure di flessibilità dell'articolazione della prestazione lavorativa;

              lettera b): si contemplano programmi e azioni - e non più solo programmi di formazione - volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo; la norma intende, da un lato, rinunciare alla focalizzazione sulle attività di formazione - che non sempre sono risultate utili a raggiungere lo scopo del reinserimento - e, dall'altro, consentire eventuali nuove attività che contribuiscano a evitare la discriminazione dei soggetti con esigenze di conciliazione;

              lettera c): assolve lo scopo di esplicitare quanto già in nuce contenuto nella precedente lettera b). La norma prevede la possibilità di finanziare interventi e servizi innovativi che favoriscano le esigenze di conciliazione che rimarrebbero insoddisfatte dalla realizzazione di azioni legate alla sola riorganizzazione del lavoro o alla flessibilità di orario ovvero alla formazione; si incoraggia, inoltre, da un lato, la costituzione di reti territoriali e, dall'altro lato, l'accesso ai finanziamenti da parte di soggetti compositi, in quanto entrambi ritenuti essenziali per l'integrazione tra strumenti di conciliazione e servizi territoriali, anche attraverso un'armonizzazione con i piani per i tempi delle città;

          2) comma 3: specifica quanto già contenuto nella lettera c) del comma 1, a proposito di soggetti titolari di impresa o di lavoratori autonomi o di liberi professionisti. La norma è tesa a circoscrivere la possibilità di richiedere contributi ai soli casi in cui esigenze legate alla maternità o alla presenza di figli minori limitino, in tutto o in parte, la prosecuzione dell'attività lavorativa; tuttavia, risultano ampliati tanto le modalità di realizzazione dell'azione,

 

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per il fatto di consentire forme di collaborazione diverse dalla sostituzione, quanto il novero dei soggetti con i quali è possibile instaurare la collaborazione stessa.

      Infine, si rende necessario far confluire all'interno dell'articolo 9 della citata legge n. 53 del 2000 quanto previsto nei commi 1255 e 1256 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, a proposito del decreto interministeriale di attuazione e delle risorse per le attività di promozione e monitoraggio, da effettuare anche attraverso la realizzazione di reti territoriali.
      L'articolo 4 intende offrire una serie di agevolazioni economiche, attraverso la previsione di una specifica Carta della famiglia destinata, analogamente a quanto accade in tema di assegni familiari, ai nuclei con almeno tre figli minori, secondo una duplice direttrice, già utilizzata, ad esempio, dall'ordinamento francese:

          1) sconti sull'acquisto di beni e di servizi;

          2) riduzioni tariffarie.

      Tali agevolazioni, che dovranno essere di misura superiore a quelle praticate ordinariamente sul mercato, daranno la possibilità, per i soggetti che le praticheranno, di pubblicizzare le iniziative adottate.
      La disposizione, che non reca oneri per l'erario, ha, nel consentire alle famiglie di meglio fronteggiare le proprie esigenze economiche, il vantaggio di innescare un circolo virtuoso costituito dalla relazione tra agevolazioni, aumento dei consumi, maggiori introiti per le imprese, maggiore occupazione e maggior gettito fiscale.
      L'articolo 5 dispone l'istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, allo scopo di promuovere la piena integrazione di tali persone.
      L'istituzione del predetto Osservatorio rappresenta una prioritaria esigenza nei processi di sviluppo delle politiche di inclusione sociale, tenuto conto della mancanza, ancora oggi, di organismi di coordinamento interistituzionale e di strumenti adeguati alla partecipazione delle formazioni sociali alla programmazione e all'attuazione delle politiche per la disabilità.
      Tale grave lacuna appare oggi ancora più evidente a tre anni dall'Anno europeo delle persone con disabilità, iniziativa che ha sollecitato i governi nazionali ad adottare adeguate misure per:

          a) assicurare un'efficace integrazione delle politiche per la disabilità nel quadro complessivo delle politiche pubbliche (ancora poco si tiene conto, infatti, dell'impatto che scelte politiche adottate in altri ambiti hanno sulla condizione delle persone con disabilità) e nel rispetto del principio di sussidiarietà tra i livelli di governo;

          b) garantire la partecipazione attiva delle persone con disabilità, attraverso le proprie rappresentanze, alla programmazione, all'attuazione e al controllo dell'efficacia delle politiche e dei programmi adottati, secondo il principio del «niente su di noi senza di noi» adottato dalle organizzazioni di rappresentanza e riconosciuto a livello internazionale ed europeo.

      L'Italia, che si è dotata da tempo di strumenti legislativi all'avanguardia nel contesto internazionale, fondati sul pieno riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti e delle opportunità, sui princìpi di non discriminazione e di garanzia dell'accesso a tutti per tutto, tanto da ricevere nel 2003 il più alto riconoscimento a livello internazionale - il premio della Fondazione Roosevelt legata all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) - per i traguardi conseguiti nell'attuazione delle Regole standard definite dall'ONU nel 1993, non dispone ancora di un organismo unitario che assicuri l'integrazione nel raggiungimento degli obiettivi indicati nel quadro normativo di riferimento. Tali esigenze appaiono oggi ulteriormente rafforzate alla luce della recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 e

 

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sottoscritta dal Governo italiano il 30 marzo 2007.
      Questo importante strumento internazionale individua nuovi percorsi per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità per accrescere, in particolare, l'inclusione sociale e la diretta partecipazione di tutte le persone con disabilità in relazione alle abilità di ciascuno.
      Alla luce di quanto esposto e tenuto conto di quanto già previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, con il comma 1 dell'articolo 5 del presente disegno di legge si dispone l'istituzione dell'Osservatorio. Ad esso partecipano i rappresentanti delle amministrazioni centrali, regionali, delle autonomie locali e delle formazioni sociali.
      Al comma 3 è previsto che, con regolamento del Ministro della solidarietà sociale, si determinino la composizione e il funzionamento dell'organismo nel limite massimo di quaranta componenti, destinando (comma 6) risorse finanziarie nella misura di 500.000 euro all'anno, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000 n. 328, che ne assicura la copertura finanziaria. Si precisa che è stabilito un importo sensibilmente inferiore a quanto attualmente previsto per il funzionamento di analoghi organismi, avendo cura di considerare, peraltro, che le sedute di un organismo collegiale che riunisce anche persone con disabilità richiedono l'utilizzo di tecnologie e ausili specifici (ad esempio, traduzione nella lingua dei segni; sottotitolazione in diretta a mezzo di stenotipia).
      L'Osservatorio potrà assicurare al Ministro della solidarietà sociale un efficace supporto per la realizzazione di una serie di impegni previsti in particolare dalla citata legge n. 104 del 1992, quali la realizzazione della Conferenza triennale sulla disabilità e la predisposizione della relazione sullo stato di attuazione delle relative politiche, e dalla citata Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
      A tale fine il comma 5 indica i compiti che la norma in esame assegna all'Osservatorio:

          a) predisporre un programma d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale;

          b) predisporre la relazione sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità ai sensi dell'articolo 41, comma 8, della citata legge n. 104 del 1992;

          c) promuovere la raccolta di dati statistici che illustrino la condizione delle persone con disabilità, anche con riferimento alle diverse situazioni territoriali;

          d) promuovere l'attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all'articolo 35 della stessa Convenzione;

          e) promuovere la realizzazione di studi e di ricerche che possano contribuire a individuare aree prioritarie verso cui indirizzare azioni e interventi per la promozione dei diritti delle persone con disabilità.

      L'articolo 6 reca l'istituzione del Fondo per la lotta contro le povertà estreme.
      In particolare, si fa presente che il potenziamento degli interventi di assistenza in favore delle persone che vivono in condizioni di estrema marginalità rappresenta un'urgenza primaria nel quadro delle politiche per la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, atteso il crescente numero di persone che si trovano a vivere, particolarmente nelle aree metropolitane, in gravi condizioni di marginalità e registrata la scarsa attenzione riservata fino ad oggi a tale fenomeno.
      Pertanto, nuove azioni in quest'ambito sono assolutamente necessarie per rispondere all'impegno assunto dal Governo di ripristinare maggiore equità e giustizia sociale - particolarmente nei confronti dei più svantaggiati - e perché la promozione

 

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di interventi di presa in carico delle persone in posizione di grave emarginazione risulta strategica anche nel quadro degli interventi di prevenzione e di sicurezza per rimuovere le cause di caduta delle persone estremamente emarginate nei circuiti dell'illegalità. L'intervento si rende necessario anche al fine di attuare, con riferimento alle persone che vivono in condizione di povertà estrema, le prescrizioni costituzionali in materia di livelli essenziali delle prestazioni sociali.
      La povertà è un fenomeno complesso e multidimensionale; le rapide trasformazioni della struttura sociale, con l'aggravarsi delle condizioni di fragilità per chi vive ai limiti del tessuto sociale, richiedono oggi nuove forme di intervento, caratterizzate da forte sperimentalità sul territorio e da un approccio integrato e multidisciplinare che tenga conto di tutti gli aspetti: da quello più strettamente assistenziale a quelli non meno rilevanti legati alla salute, al lavoro e alla prevenzione delle condizioni di illegalità in cui la persona fortemente emarginata può facilmente cadere.
      Di particolare rilievo sono da considerare gli interventi nelle grandi aree metropolitane del Paese e a questo scopo alle città già individuate dalla legge n. 285 del 1997 è riservata metà degli stanziamenti del Fondo. Occorre, infatti, garantire un profondo rilancio in questo ambito per promuovere programmi finalizzati a evitare forme di degrado nelle periferie e nei quartieri sensibili delle grandi città, affinché attraverso la prevenzione si costruisca una nuova sicurezza, articolata in azioni di controllo del territorio e di percorsi di inclusione sociale e sostenuta da adeguate risorse finanziarie.
      La dimensione del Fondo, che comunque si integra con risorse regionali e locali, è da considerare solo un primo intervento necessario, ma appena sufficiente, a stimolare risposte innovative ai bisogni. Si tenga conto che l'Italia è il Paese che spende meno nell'Unione europea per misure di lotta contro l'esclusione sociale - neanche lo 0,1 per cento del prodotto interno lordo (PIL) - e si ricordi che per i soli interventi urgenti a favore delle situazioni di povertà estrema la legge 8 novembre 2000, n. 328, all'articolo 28, aveva individuato uno stanziamento dell'ammontare di 20 miliardi di lire per ciascuno degli anni 2001 e 2002.
      La scarsa attenzione al fenomeno è dimostrata anche dalla mancanza di dati. Ad esempio, quanto al numero di persone senza fissa dimora, gli unici dati disponibili risalgono al 2000 e sono contenuti in una ricerca quantitativa svolta a livello nazionale, che stimava in circa 20.000 le persone in condizioni di disagio più acuto, presenti in Italia, con una forte concentrazione nei comuni di dimensioni più grandi, una presenza prevalente di uomini (80 per cento), relativamente giovani (70 per cento con età inferiore a 48 anni), egualmente suddivisi tra italiani e stranieri. Si tratta, evidentemente, di stime assolutamente inattendibili oggi e appare quindi necessario prevedere, nell'ambito del programma di nuovi interventi, anche un'azione di indagine per disporre di dati più certi. È inoltre necessario un monitoraggio continuo degli interventi, al fine della valutazione della loro efficacia, ma anche per l'attivazione di un coordinamento tra le diverse esperienze locali attraverso la diffusione delle conoscenze e lo scambio delle buone prassi finalizzate al miglioramento della qualità degli interventi. Per facilitare questo coordinamento istituzionale e per migliorare la conoscenza delle situazioni di povertà estrema è istituito presso il Ministero della solidarietà sociale un servizio di informazione, di promozione, di consulenza, di monitoraggio e di supporto tecnico.
      L'articolo 7 concerne l'istituzione del Fondo di solidarietà per i mutui destinati all'acquisto della prima casa. Si fa presente, infatti, che la grave situazione dei mutui per l'acquisto della prima casa, che sta creando a molte famiglie problemi insolubili, rende indispensabile l'istituzione di uno strumento che serva ad aiutare le famiglie in difficoltà.
      Si propone, pertanto, l'istituzione del Fondo di solidarietà per i mutui destinati all'acquisto della prima casa, al fine di
 

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sostenere i cittadini in difficoltà temporanea nel pagamento delle rate di mutuo per la prima casa.
      In base ai dati della Banca d'Italia si evince che il numero probabile delle famiglie in difficoltà nel pagamento del mutuo sia attorno alle 10.000 unità. Poiché i costi di «sospensione» del contratto di mutuo sono pari a circa 500 euro per pratica, tra commissioni bancarie e atti notarili, ne discende la necessità di determinare la capienza del Fondo in 5 milioni di euro.
      L'articolo 8 reca ulteriori norme in materia di politiche sociali.
      In particolare, il comma 1 è volto a risolvere un delicato problema di ambiguità normativa e a rendere più efficiente e tempestiva la gestione dei finanziamenti ai comuni, migliorando la qualità della spesa pubblica.
      L'articolo 1, comma 1258, della legge n. 296 del 2006, infatti, ha stabilito che la dotazione del Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza sia determinata annualmente dalla legge finanziaria. Ai sensi della legge n. 285 del 1978 (articolo 1, comma 2), il 70 per cento del Fondo viene ripartito fra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il 30 per cento è destinato a quindici città cosiddette «riservatarie». Ancora nel 2007 (non essendo stata data attuazione al citato comma 1258 con la previsione di uno specifico stanziamento) i finanziamenti per l'infanzia e l'adolescenza sono risultati inseriti nel Fondo nazionale per le politiche sociali: la parte regionale è rimasta indistinta, dunque commista ai finanziamenti relativi agli altri interventi sociali; la parte relativa alle città riservatarie, invece, è stata fissata in circa 44,5 milioni di euro. Il disegno di legge finanziaria 2008 ha identificato come dotazione del Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza solo i suddetti 44,5 milioni di euro, separandoli dal Fondo nazionale per le politiche sociali. Risulta, dunque, indispensabile intervenire sulla norma contenuta nell'articolo 1, comma 1258, della legge n. 296 del 2006, precisando che solo la parte destinata alle città riservatarie è effettivamente scissa dal Fondo nazionale per le politiche sociali, altrimenti diventerebbe ambiguo a quali enti debbano essere destinati i 44,5 milioni di euro identificati per l'anno 2008.
      Il comma 2 è rivolto a rendere più efficiente e tempestiva la gestione dei finanziamenti al Ministero della solidarietà sociale, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano.
      La norma, infatti, prevede la possibilità di anticipare ai citati soggetti una quota pari al 50 per cento degli stanziamenti del Fondo nazionale per le politiche sociali relativi all'anno precedente, al netto della parte destinata al finanziamento dei diritti soggettivi.
      Anche questo intervento mira ad ovviare allo strutturale ritardo con il quale vengono trasferiti i fondi, ritardo indipendente dalla volontà dell'amministrazione, ma causato dalla necessità di attivare meccanismi di intesa e procedure di bilancio che fanno sì che gli enti non riescano ad ottenere i finanziamenti per l'anno in corso prima dell'autunno inoltrato, con conseguente necessità di impegnare rapidamente le somme negli ultimi mesi dell'anno, difficoltà di programmare e conseguente caduta dell'efficacia e dell'efficienza della spesa pubblica.
      Con l'integrazione proposta, il Ministero della solidarietà sociale è autorizzato ad anticipare una quota massima del 50 per cento degli stanziamenti complessivamente disponibili, al netto della parte destinata al finanziamento dei diritti soggettivi.
      Gli interventi proposti nei commi 1 e 2 non necessitano, dunque, di risorse aggiuntive, ma mirano esclusivamente a meglio allocare le attuali, migliorando così grandemente la qualità della spesa pubblica. Il meccanismo e la percentuale di anticipo identificati assicurano la capienza e garantiscono che, in fase di conguaglio, nessun ente si troverà in posizione debitoria.
      Il comma 5 riguarda la tassa mensile sulle concessioni governative per le utenze in abbonamento della telefonia mobile prevista dalla nota 3 dell'articolo 21 della tariffa allegata al decreto del Presidente
 

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della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995. Attualmente, la tassa è esclusa per le «licenze o i documenti sostitutivi intestati ad invalidi a seguito di perdita anatomica o funzionale di entrambi gli arti inferiori nonché a non vedenti». Il 22 marzo 2007 il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2201/35, presentato alla Camera dei deputati dall'onorevole Pottino, con il quale si impegna a estendere la deroga anche alle persone sorde. La norma proposta provvede, appunto, all'estensione dell'esenzione ai sordi.
      Il comma 6 riguarda uno stanziamento di 1,5 milioni di euro necessario per il rilancio delle attività dell'Istituto italiano di medicina sociale, uno dei tre enti strumentali dell'ex Ministero del lavoro e delle politiche sociali (gli altri sono l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e la società Italia lavoro Spa, passati al Ministero del lavoro e della previdenza sociale e finanziati nel disegno di legge finanziaria 2008), la vigilanza sul quale è attribuita al Ministero della solidarietà sociale, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2007, che ha provveduto alla ripartizione delle competenze fra il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e il Ministero della solidarietà sociale, e del successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il cui schema è attualmente sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari.
      L'articolo 9 concerne la copertura finanziaria delle misure di spesa per l'attuazione degli articoli 6, 7 e 8, mediante corrispondente riduzione dell'importo da iscrivere nel Fondo speciale destinato alle spese correnti di cui alla tabella A della legge finanziaria 2008 per il finanziamento di provvedimenti legislativi previsti con riguardo al Ministero della solidarietà sociale.
      In fine si precisa che il presente disegno di legge costituisce provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 2008.
 

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